VIAGGIO NELLA GIOIA CONTAGIOSA CHE UNISCE L’UMANITA’

Pandemia a parte, l’umanità sembra aver dimenticato le dinamiche della gioia collettiva, tra solipsismi e solitudini digitali, i falsi miti dei social e le derive di una società sempre più narcisistica e individualistica, tra censure e morali repressive, la dimensione sociale della felicità si è ormai perduta irrimediabilmente. Il libro di Barbara Ehrenreich, invece, ci ricorda che sin dalla notte dei tempi l’umanità ha cercato di condividere la felicità, facendone uno strumento di aggregazione, nonché di conoscenza personale e collettiva. L’espressione più evidente di questa gioia plurale è sicuramente l’estasi, qualcosa che sfugge alle dinamiche razionali per poter dilagare, andare oltre le barriere dell’io. L’autrice parte dal Paleolitico, per dimostrare che già l’uomo preistorico aveva una naturale tendenza alla gioia comunitaria. Scrive Ehrenreich nell’introduzione al volume che la danza è uno dei riti più naturalmente deputati a favorire la gioia collettiva, se ne trova espressione in tutti i popoli indigeni, come testimoniato anche dal primo approccio degli europei con le popolazioni del Nuovo Mondo: “Sconvolgente per la mentalità europea era la pratica, quasi ubiqua, di rituali estatici in cui i nativi si radunavano a danzare, cantare o recitare inni fino a sfinirsi, raggiungendo a volte uno stato di trance. Ovunque andassero – tra i cacciatori-raccoglitori dell’Australia, gli orticoltori della Polinesia o gli abitanti dei villaggi indiani – gli uomini (e talvolta le donne) bianchi assistettero con una tale frequenza a questi riti elettrizzanti da concludere che «tra le società attuali dei selvaggi [esiste] una straordinaria uniformità […] a dispetto delle molte varianti locali di rituali e mitologie»¹. L’idea europea di «selvaggio» finì per precisarsi nell’immagine di corpi dipinti e bizzarramente mascherati, di tamburi e danze scatenate alla luce di un falò”.
Ma non basta, l’autrice va alla ricerca dei perché, delle cause che nel corso dei secoli hanno fatto sì che questa festività spontanea, un tempo così diffusa, oggi sia quasi scomparsa, se non nella forma di un consumo passivo. La prima risposta è nel potere che teme la portata contagiosa dei riti gioiosi, ne ha paura, sospetta che possano manifestarsi come sovversione delle gerarchie. “E tuttavia le esplosioni di gioia collettiva, con la loro carica sovversiva, persistono tuttora. D’altronde, siamo esseri sociali, e la voglia di mascherarsi, danzare, irridere i potenti e condividere l’esultanza con dei perfetti sconosciuti non è affatto facile da reprimere”. Un lavoro singolare, che – lontano dai compartimenti stagni – non si limita all’antropologia e intreccia diversi saperi, cortocircuitando le discipline per consegnarci un libro denso e traboccante di vitalità.

Barbara Ehrenreich
“Una storia della gioia collettiva”
traduzione di Elena Cantoni
Elèuthera edizioni
pagg. 244   – euro 22.00

Pubblicato da Paolo Romano

Sudtirreno è il blog di informazione e cultura di Paolo Romano

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