PRINCIPATO FEMMINILE DELLA MERAVIGLIA: IL NUOVO ROMANZO DI CAPPUCCIO CHE DA’ VOCE AGLI INTONACI

Biografia, romanzo storico, romanzo filosofico, riflessione estetica sul fascino barocco delle rovine, viaggio nella memoria di un mondo reale e interiore, omaggio a una figura femminile di grande forza e fascinazione. C’è tutto questo nel nuovo romanzo di Ruggero Cappuccio “La principessa di Lampedusa”. Il titolo rimanda a Beatrice Tasca Filangeri di Cutò, madre dell’autore del Gattopardo e autrice, a sua volta, di un’opera di cui non si sono salvate che poche pagine. È lei la protagonista di una storia intrisa di passione e vis estetica, sentimento del tempo e gusto per la sovversione delle convenzioni sociali. E se il Gattopardo nel tempo narrativo si svolge in un’epoca di transizione, quella del passaggio del mondo baronale dei Borbone a quello unitario dei Savoia, il romanzo di Cappuccio – affascinato dalle terre di mezzo e dai passaggi storici – si svolge negli anni finali della Seconda Guerra Mondiale, in quel ’43 devastato dai bombardamenti degli Alleati, dal loro tardivo sbarco in Sicilia, dal ripiegamento cruento dei tedeschi e dall’incertezza per una guerra civile che terrà l’Italia in scacco per altri due anni. Ma la personalità di Beatrice Tasca Filangeri di Cutò è forte, più forte del conflitto, della povertà materiale e morale di un mondo in macerie, giganteggia sulle convenzioni sociali di un sud sempre troppo avvezzo a indossare maschere pirandelliane. L’incipit è di quelli che si tengono a mente si staglia in maniera indelebile nella sentina della memoria letteraria dei divoratori di libri: “Il 9 maggio 1943 la principessa di Lampedusa entrava a Palermo. La carrozza si era fermata davanti al mare. Erano le tre e mezzo del pomeriggio. La città era deserta”. Il corpo, il fascino e la personalità della protagonista femminile giganteggiano nello scenario d’una città ferita nel morale e nell’architettura. Quando lei rientra nel suo palazzo, rimasto in piedi a sfidare il tempo, tra carte da parati divelte, calcinacci, soffitti sfondati e librerie crollate, lo stemma dei Gattopardi è ancora lì, icona araldica di un tempo mitico e reale. In tempo che è vicino ma sembra ormai così lontano, rimandando a un’altra epoca e un’altra epica, quando tutto odorava di leggenda, avventure e nobili imprese. È come se il tempo fosse rimasto prigioniero nelle stanze della dimora, per le cui antiche scale si muove con leggiadria e passione l’indomita figura della principessa. Il tempo sembra chiederle di fare un passo indietro, ma lei fa un passo avanti, nella sua modernità antica anticipa il futuro e chiede ad esso di camminare con altri occhi: quelli di suo figlio Giuseppe, che scriverà un capolavoro insuperabile e quelli di una giovane donna, che abita il palazzo di fronte e dovrà essere aiutata a vincere il maschilismo imperante. La principessa si muove con la generosità di chi ha sempre lottato per la libertà ed è insofferente ai soprusi. Eugenia è una ragazza appassionata di stelle e pianeti che suo malgrado – per imposizione della famiglia – dovrà lasciare gli studi e indirizzarsi verso un matrimonio combinato, per sposare un uomo che non ama. A lei e a Giuseppe si indirizza la generosità senza limiti della principessa, pronta a sacrificarsi per due giovani vite, nel cui sangue scorre il futuro. Nel parallelo tra il Gattopardo e il romanzo di Cappuccio ritroviamo un altro elemento simile e contrario. Se nel primo c’è la scena del grande ballo elegante e decadente, qui, nella trama biografica della principessa di Lampedusa c’è un ricevimento ancora più decadente: i palermitani sono invitati a una grande festa nel palazzo. Verranno i più grandi nomi del bel mondo della città, dai Lanza di Trabia ai Florio, dai Valguarnera ai Moncada. Vecchi nobili e nuovi ricchi, accomunati da identica povertà materiale e debito di speranza. Nessuno ha gli abiti giusti per prendere parte al ricevimento, perché si esce dal conflitto bellico. E allora l’organizzatrice del grande evento, con una intuizione istrionica, recluta il sarto del teatro palermitano perché s’ingegni ad adattare per ciascuno un vestito di scena dell’Opera. Ecco che ogni invitato diventerà, suo malgrado, la comparsa di un multiforme spettacolo lirico. Si ballerà sotto le bombe come sotto la pioggia, in uno sfidare il destino che è cifra donchisciottesca e metaforica della vera, grande letteratura di tutti i tempi. Per romanzare la storia e gli aspetti biografici della principessa, Cappuccio ha consultato archivi e documenti, ma soprattutto ha saputo cogliere le emozioni e il fascino delle rovine: senza lasciarsi rapire dalle emozioni non si può scrivere con vera passione. Anche quanto l’autore inventa di suo sa dare credibilità ai fatti narrati per un motivo semplice: i luoghi che descrive li ha vissuti, ha abitato davvero le stanze di una Palermo fuori dal tempo, ha imparato ad ascoltare le parole che trasudano dagli intonaci, la voce di vecchi divani, lampadari, stucchi, marmi e carte da parato dove si è depositata la patina del passato, di un mondo che è stato e che non è più, ma parla ancora attraverso memorie marginali.

Ruggero Cappuccio
“La principessa di Lampedusa”
Feltrinelli editore
pagg. 368 – euro 20.00

Pubblicato da Paolo Romano

Sudtirreno è il blog di informazione e cultura di Paolo Romano

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